Nel XII secolo, i Crociati occuparono la Palestina. La pista che transitava lungo la penisola del Sinai e raggiungeva la Mecca non fu più praticabile dai pellegrini islamici. Scriveva Ibn Jubair viaggiatore e georafo arabo ( 1145- 1217 ) “Nel Sinai i Franchi (i Crociati) hanno un forte presidiato”.
Il viaggio
Per rintracciare l’antica pista dei pellegrini, siamo partiti da Assuan, in Egitto, con i nostri mezzi imbarcati su una chiatta, attraverso il lago Nasser, diretti in Sudan.
L’itinerario
Anche i pellegrini per arrivare alla Mecca partivano da Assuan ed entravano nel deserto nubiano sudanese per raggiungere il Mar Rosso tenendo direzione 40.50 gradi est- sudest. Affrontavano, durante la prima parte del viaggio, una regione pianeggiante e sterile.
I mezzi nel deserto
Per rintracciare l’antico tracciato dei pellegrini anche noi siamo entrati nel deserto nubiano sudanese, nel corso di diverse missioni, percorrendo vaste distese sabbiose dove non era sempre facile avanzare.
Tracce del passato
In questo spazio desolato e brullo era emozionante trovare le tracce di un lontano passato. La macina che affiora dalla sabbia ci parla di un deserto più verde e ricco d’acqua, quando la donna preistorica impiegò l’utensile di pietra per frantumare i cereali spontanei o coltivati.
La mancanza d’acqua
Percorriamo un territorio vuoto dove numerosi animali morti di sete e mummificati dal calore sono indice della mancanza d’acqua e rendono evidenti i rischi che i pellegrini incontravano durante la traversata del deserto nubiano.
Il pozzo insabbiato
Nel corso della missione 1989, trovammo un pozzo insabbiato e, a qualche chilometro di distanza, alcune ossa umane: probabili resti di pellegrini morti di sete. Scriveva il già citato Ibn Jubair che, nel XII secolo, percorse questo itinerario: “…arrivammo al pozzo e trovammo che la sabbia v’era caduta dentro… I cammellieri si provarono a scavarlo…. ma non ci riuscirono cosicchè la carovana restò sprovvista d’acqua”.
L’oro dell’uadi Allaki
I pellegrini, seguendo il percorso diretti al mare, transitavano nella regione montuosa ricca d’oro dell’alto Allaki. Scriveva Al-Maqrizi “ … tutto il paese è pieno di miniere e, a misura che il terreno si eleva, l’oro è più puro ed abbondante”.
Ancora oggi la zona è disseminata di ricoveri in pietra dei minatori e, sparsi intorno, numerosi utensili litici e frammenti di vasellame.
Approvvigionarsi d’oro
I pellegrini sostavano nella zona per ottenere l’oro necessario a coprire le spese del viaggio e la navigazione sul Mar Rosso. Scriveva Al Yacubi alla fine del X secolo: “nelle miniere le pepite d”oro…vengono messe in barre“. I pellegrini più poveri, che non avevano beni di scambio o denaro, erano costretti a lavorare nelle miniere o a ricavare l’oro dalle vene di quarzo.
Abbiamo, infatti, notato probabili aree di lavoro dei pellegrini dove il quarzo veniva frantumato e polverizzato per estrarre le pagliuzze d’oro.
Le sepolture
Percorrendo l’uadi Allaki abbiamo trovato, lungo le piste, numerose tombe islamiche quasi certamente risalenti al periodo dei pellegrinaggi. Accanto ad alcuni tumuli abbiamo notato offerte ai defunti: vasetti di steatite e contenitori di terracotta.
Accanto ad alcuni tumuli abbiamo notato offerte ai defunti: vasetti di steatite e contenitori di terracotta.
Il viaggio con i dromedari
Lungo l’uadi Allaki, abbiamo documentato numerosi graffiti di dromedari, probabilmente lasciati dai pellegrini. Scriveva Ibn Jubair: “in questi deserti non si viaggia che su dromedari… la gente agiata siede sui “saqadif”, specie di portantine… i più poveri invece stanno seduti sopra i carichi e soffrono per il fastidio del vento“.
Il viaggio per mare
Arrivati al porto di Aidab i pellegrini dovevano pagare una tassa per proseguire su imbarcazioni (gilad) costruite senza chiodi, tenute insieme con corde. Precisava Ibn Jubair: “spalmano l’imbarcazione di grasso e… olio di “qirs” (pescecane)… per rendere il legno flessibile e morbido… a causa della grande quantità di scogli…”.
Imbarcazioni simili le abbiamo viste costruire ancor oggi a Port Sudan, usando cavicchi di legno e corde imbevute di grasso di squalo.
Il viaggio di ritorno
Ancora più drammatico era il rientro dalla Mecca per mare. Talvolta i venti contrari spingevano le imbarcazioni lontane dal porto. “Allora – scriveva Ibn Jubair – vengono verso di loro (i pellegrini) i Bugah… e danno loro a nolo dei cammelli e li fanno passare per vie sprovviste d’acqua sicchè la maggior parte si smarrisce e muore di sete“.
I Bugah, oggi noti col nome di Beja, sono pastori che nomadizzano attraverso il deserto nubiano, alla ricerca di pascoli per i loro armenti. Nel XIII secolo la “strada del sud” perse gradatamente importanza, quando i pellegrini ebbero nuovamente la possibilità di percorrere la rotta via terra verso Medina e la Mecca, transitando attraverso l’istmo di Suez e il Sinai.
Presso il Museo Castiglioni è possibile scoprire straordinari reperti etnologici ed archeologici.
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