Bobo Fing: il popolo della savana.

Nel mese di dicembre 1979 sbarcammo a Tunisi con i nostri automezzi partiti da Genova. Attraversammo la Tunisia, l’Algeria e il Niger, percorrendo uno spazio di oltre 3000 chilometri e raggiungemmo il piccolo villaggio di Boni, abitato dall’etnia Bobo Fing, in Alto Volta, stato dell’Africa occidentale che il 4 agosto 1984 cambiò il nome in Burkina Faso.

Il villaggio di Boni
Il villaggio, centro sociale, religioso e culturale , era composto da alcuni quartieri ognuno dei quali aveva un proprio nome, possedeva i suoi feticci protettori ai quali venivano offerti numerosi sacrifici.

Scarificazioni tribali
Notammo subito che i Bobo Fing, sia maschi che femmine, talvolta molto giovani, avevano il volto solcato da profonde e vistose incisioni. Segni distintivi del gruppo di appartenenza (veri e propri passaporti fissati sulla pelle).

Il capo villaggio
Il capo villaggio di Boni, depositario e custode della tradizione, presentava incisioni più elaborate che interessavano tutto il volto. Senza il suo consenso erano bloccate tutte le iniziative che guidavano la vita del villaggio, come i sacrifici di animali, le feste dei feticci ecc. In altre parole era l’anima del villaggio.

Morte del capo villaggio
Alla morte di un capo villaggio, l’assemblea degli anziani eleggeva il successore che, generalmente, era il figlio maggiore della sorella del defunto, cioè il nipote più anziano. La salma adagiata nella fossa era protetta da pali di legno prima di essere coperta di terra.

 

Madri Bobo
Le madri Bobo avevano, come tutte le donne africane, una notevole cura dei figli. Frequentemente le vedemmo lavare i figli spruzzando l’acqua tenuta in bocca per alcuni minuti per intiepidirla, soprattutto durante le giornate particolarmente fredde e ventose.

 

Accudire i fratelli minori
Quando una madre aveva numerosi figli ne faceva accudire uno da una figlia più grande che, sentendosi responsabilizzata, dedicava al fratello minore le maggiori cure possibili, sospendendo i giochi e i passatempi propri della sua giovane età.

Scheggiatura dei denti
La scheggiatura artificiale dei due denti incisivi frontali creava uno spazio a forma di “V”, una pratica seguita da molte popolazioni a livello etnologico. Per i Bobo Fing i denti così modificati rappresentavano un notevole punto di bellezza e attrazione.

Un uomo abile
Era un uomo abile, sovente il fabbro del villaggio, ad effettuare la scheggiatura con uno scalpello tagliente. Il giovane sdraiato sul dorso stringeva coi denti un bastoncino: serviva ad attutire parzialmente i colpi inferti. Al termine gli veniva data una banana che mordeva ripetutamente. Ci fu detto che serviva ad alleviare i dolori della traumatica operazione.

Il fabbro del villaggio
Il fabbro del villaggio occupava una posizione particolare: infatti il suo lavoro lo metteva a contatto con le forze misteriose della natura. Era colui che utilizzava il vento e il fuoco per rendere duttile il ferro, per piegarlo e costruire utensili per l’uomo. Questo dominio sulle forze della natura dava al fabbro Bobo Fing un ruolo di prim’ordine nella società : fungeva da intermediario religioso, componeva le dispute, era l’iniziatore di fanciulli e seppelliva i morti.

La vasaia
Una vasaia cuoceva i recipienti d’argilla su un fuoco di legna. Anche lei, come il fabbro, godeva di una posizione di previlegio nel gruppo per la sua capacità di modellare l’argilla trasformandola in un contenitore che, con il fuoco, diventava solido e durevole. Era lei l’ostetrica del villaggio ed era ancora lei, sovente, a conoscere i poteri curativi delle erbe.

Beni personali
L’agricoltura era base economica e principale occupazione dei Bobo Fing. Ogni famiglia era una piccola entità sociale dedita alla coltivazione dei propri campi. Nella società Bobo Fing esisteva, per entrambi i sessi, la proprietà personale. La donna, sbrigati i lavori comuni della famiglia, poteva preparare fascine di legna, cuocere cibarie, raccogliere frutti e semi spontanei da vendere al mercato per ricavarne guadagni personali.

Scarificazioni
Le scarificazioni, incisioni della cute, coprivano molte parti del corpo sia di donne che di uomini Bobo Fing. Erano “decorazioni ornamentali” molto apprezzate, ma avevano anche una funzione protettiva: una pratica diffusa presso molti gruppi etnici africani. Ad effettuarle era generalmente una donna anziana particolarmente abile che si serviva di un coltellino tagliente o, da alcuni anni, anche di lamette da barba.

Dopo la scarificazione
La ferita veniva lavata e l’emorragia arrestata con la nera fuliggine delle pentole che serviva anche, ci fu assicurato, a disinfettare e ad attenuare il dolore. Il color nero, fissandosi nella ferita , la rendeva più appariscente e la pelle diventava un’opera d’arte .

Ogni parte del corpo poteva essere interessata alle scarificazioni: il collo…

… la schiena, forse la parte del corpo che più si prestava alle scarificazioni etniche e a quelle dettate dalla fantasia dell’operatrice.

Il seno. Era certamente la scarificazione più dolorosa. Le giovani sopportavano il dolore: erano consapevoli che per essere ammirate bisognava soffrire.

Convocati dal capo villaggio e dagli anziani
Dopo quasi un mese di soggiorno nel villaggio di Boni fummo convocati dal capo villaggio e dagli anziani che, attraverso il nostro interprete, ci comunicarono che gli auspici e i sacrifici di animali erano stati favorevoli: nei prossimi giorni sarebbero iniziati i rituali di clitoridectomia e di circoncisione. Fummo autorizzati ad assistervi, tuttavia a nostro rischio, in quanto ci dissero che vedere il sangue della clitoridectomia avrebbe potuto causare malattie agli occhi, addirittura farci perdere la vista.

Prima dell’operazione
Prima di procedere alla clitoridectomia (l’ablazione della clitoride e delle piccole labbra vaginali), l’operatrice Bobo Fing, generalmente una donna anziana, puliva con cura l’area e si soffermava a lungo a parlare con le giovani trasmettendo gli ultimi insegnamenti.

Clitoridectomia
Un’operazione cruenta e non priva di rischi. Tuttavia era una pratica importante per i Bobo Fing. Con l’eliminazione della clitoride le bambine diventavano donne e potevano sposarsi. Nessun uomo avrebbe chiesto in sposa una ragazza che aveva ancora il residuo del sesso maschile: “le petit penis” come l’aveva chiamato il nostro interprete.

Prima della circoncisione
Sedevano in gruppo all’ombra degli alberi in attesa di essere circoncisi. Avevano scavato una buca tra le gambe divaricate per raccogliere il sangue delle ferite. Ci fu detto che avrebbe stimolato la crescita vegetale.

Circoncisione
L’escissione del prepuzio, la circoncisione, era ampiamente diffusa tra i Bobo Fing. Ad effettuarla era generalmente un uomo anziano. L’operatore fissava il prepuzio all’alluce del suo piede con una cordicella. Posto su un tronco d’albero, il prepuzio, veniva rapidamente tagliato con un colpo inferto con un tagliente coltello. La parte recisa era poi consegnata al circonciso.

Dopo l’operazione
Nel buco precedentemente scavato i circoncisi lasciavano defluire il sangue a lungo, fino a quando l’emorragia non si arrestava.

La ferita era infine bagnata con l’acqua, fatta colare lungo il coltello che aveva reciso il prepuzio. Ci dissero che serviva a cicatrizzarla rapidamente.

Le danze
Nel villaggio Bobo Fing le danze erano frequenti, soprattutto di notte. Una sera vedemmo uscire alcuni ballerini da una fessura scavata ai piedi di una costruzione d’argilla. Accompagnati dal suono dei tam-tam apparvero improvvisamente vestiti di un costume bianco: danzavano entrando e uscendo dalle luci tremolanti dei fuochi, suonando zufoli di canna. Immagini suggestive di una danza frenetica della quale non riuscimmo a sapere il significato. Ci dissero solo che le donne non potevano assistere. Gridi lanciati ripetutamente dai ballerini le avvisavano di allontanarsi.

Il ballerino “Kalao”
Un giorno vedemmo un ballerino, ornato di lunghe piume, riprodurre i rapidi movimenti dell’uccello Bucero, diffuso in molte zone del continente africano. Chiamato “Kalao” é un animale sacro non solo per i Bobo ma anche per altre etnie (Bambara, Senufo, Dogon). Si trattava certamente di una danza propiziatoria che continuò a lungo.

Vestiti di foglie
Nel giorno della celebrazione commemorativa dei defunti, fissato dal capo villaggio e dagli anziani, i giovani Bobo Fing si ritiravano nel folto della boscaglia, coprendo interamente il corpo con foglie. Ritornavano poi al villaggio correndo e gridando, forse per invocare la presenza della forza vitale dei defunti o richiamare entità benevole.

Le maschere zoomorfe
Le maschere zoomorfe possedevano una importanza notevole per i Bobo Fing. Rinomate per fattura e colori, facevano la loro apparizione soprattutto di notte al suono frenetico dei tam tam e…

… dei “balafon”, durante particolari momenti di vita sociale: quando i campi venivano seminati, dopo il raccolto, ma anche all’epoca dei riti d’iniziazione dei giovani.

Le maschere rappresentavano lo spirito della boscaglia chiamato “do”, termine usato anche per indicare altre divinità. Il ballerino nascondeva il corpo con rafia e fibre vegetali colorate. Diventava lo spirito della maschera e agiva seguendo la volontà della stessa. Il sovrumano s’innestava nell’umano e lo rendeva visibile. Nelle maschere si riconoscevano il combattivo bufalo della savana dalle piccole corna aguzze (il bufalo “equinoxialis”), la civetta dal becco adunco e dai grandi occhi rotondi che spiccavano inquietanti nel buio.

Alla luce dei fuochi apparivano e scomparivano, avanzavano e indietreggiavano, ruotavano su se stesse. La luce guizzante delle fiamme le animavano, risvegliando paure ancestrali. Al termine del rito gli abitanti tornavano nelle capanne portando, come portafortuna, brandelli di costumi e fili di rafia da appendere alle pareti.

Presso il Museo Castiglioni è possibile scoprire straordinari reperti etnologici ed archeologici.

Tutte le immagini fotografiche, i disegni e i testi di questo articolo sono di proprietà esclusiva dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni. Qualsiasi riproduzione, anche se parziale, è vietata. Per ricevere autorizzazione all’utilizzo si prega di contattare il Museo Castiglioni.

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