Pagine di pietra: i graffiti preistorici del Wadi Bergiug (Libia).

Sono tra i graffiti migliori dell’arte parietale africana.

Nel deserto libico meridionale, sulle pareti di profondi uidian che tagliano l’altopiano, sono incise migliaia di rappresentazioni della fauna che viveva in quelle regioni, ora sterili, quando erano ricche di acque e di pascoli.

Occorre un notevole sforzo di fantasia per immaginare la grande fauna, attualmente vivente a migliaia di chilometri più a sud, abbeverarsi lungo le sponde di questi fiumi fossili.

Anche il Bubalus Antiquus, dalle possenti corna, scomparso dall’Africa settentrionale circa 4000 anni fa, lo troviamo presente solo in questa incisione preistorica.

Centinaia di graffiti, come quadri di una pinacoteca all’aperto, mostrano un mondo scomparso: attività pastorali, grandi animali, rituali religiosi sono incisi sulle pareti, quasi l’uomo del passato avesse voluto tramandare fino a noi il ricordo della sua esistenza.

Antiche tecniche di caccia
I graffiti del Bergiug, documentano, tra l’altro, le tecniche venatorie e le trappole preistoriche che troviamo ancora oggi impiegate. Questi graffiti risalgono a circa 10.000 anni fa e appartengono al periodo della “grande fauna selvaggia”, quando l’uomo era soprattutto cacciatore.

Le tecniche di esecuzione sono molto accurate: il solco è profondo e liscio e, qualche volta, la superficie endoperigrafica è accuratamente levigata. Sono rappresentazioni uniche che trovano difficilmente riscontro in altri graffiti africani.

Il graffito della caccia all’elefante
Dal diario della missione: “Dalle prime ore del giorno percorriamo l’uadi In Galguien, antico affluente del Bergiug. Stiamo effettuando, secondo il programma stabilito prima della partenza, i calchi di decine di graffiti, usando un’apposita resina epossidica messa a punto dalla Ciba Geigy“.

Lo scopo è documentare un patrimonio preistorico che il tempo sta lentamente disgregando.

Troviamo infatti diversi massi con incisioni che, a causa del trascorrere del tempo e delle modificate condizioni ambientali, si sono staccati dalle pareti e giacciono a terra. Continuiamo a realizzare i calchi.

Poco lontano, a circa 4-5 metri dal fondo dello uadi, notiamo due eccezionali graffiti di elefante.

Siamo increduli nel constatare come un cacciatore di molte migliaia di anni fa sia riuscito a fissare sulla roccia queste due immagini in cui spontaneità e immediatezza si mescolano alla precisione dei particolari e a un eccezionale realismo.

Sono tra i migliori esempi risalenti alla fase più antica dell’arte parietale preistorica del Bergiug.

Incisa tra le zampe di uno dei due elefanti notiamo una schematica figura umana di circa 20 centimetri di altezza. E’ realizzata in modo approssimativo, con pochi tratti, come normalmente avviene nei graffiti risalenti alla fase più antica, dove l’uomo è raramente rappresentato e, quando avviene, lo è in modo schematico.

Fissiamo la nostra attenzione su questo personaggio particolare e notiamo che, dalla mano destra, inizia una grossa linea che punta verso il ventre dell’animale. Mentre stiamo cercando di trovare una spiegazione, ci torna alla mente il ricordo di una battuta di caccia dei pigmei Ba-binga, nelle foreste pluviali del Gabon, alla quale assistemmo una ventina di anni fa.

La caccia all’elefante dei pigmei Ba-Binga
Gabon 1961. Dall’alba avanziamo nel folto della foresta, immersi nell’umidità e in un calore soffocante.

Dopo ore di marcia, l’acqua che abbiamo portato con noi sta per finire. Ci dissetiamo sovente con la linfa di una speciale liana che, tagliata, lascia sgocciolare un liquido leggermente frizzante.

Stiamo seguendo un gruppo di cacciatori Ba-Binga di elefanti, guidati dall’anziano capo armato di una lunga asta munita di una punta di ferro che tiene appoggiata ad una spalla.

E’ il momento più caldo e i pachidermi riposano all’ombra di alcuni alberi.

Il capo caccia rapidamente si cosparge con lo sterco lasciato dagli elefanti, annullando così l’odore d’uomo che gli animali percepirebbero. Poi inizia a strisciare verso il pachiderma con movimenti lenti trascinando dietro si sé la pesante lancia.

Raggiunto l’elefante si insinua tra le zampe, appoggia l’asta al terreno e ne dirige la punta verso il ventre: è la grossa linea che vedremo, alcuni anni dopo, riprodotta su una roccia del uadi In Galguien. Nello stesso momento i compagni urlano alle spalle del pachiderma che si gira ruotando su sé stesso e piega le zampe posteriori. La punta della lancia penetra in profondità e il cacciatore abbandona la pericolosa posizione, inghiottito nel sottobosco.

L’animale ferito inarca il mastodontico corpo, assumendo la stessa posizione rattrappita rappresentata nel graffito preistorico. Fugge barrendo: lo ritrovano morto il giorno dopo e subito i cacciatori iniziano a recuperarne la carne. Conservata seccandola al sole, allontanerà la fame dal villaggio per molte settimane.

Il graffito della trappola per la cattura delle giraffe
Sempre durante la nostra ricerca di graffiti preistorici, troviamo, nel uadi Mathendush, l’incisione di una giraffa realizzata con ottima tecnica e in stile naturalistico.

Di fronte all’animale, rappresentato con una zampa alzata, notiamo un “cerchio raggiato” e ne effettuiamo il calco.

Alcuni autorevoli studiosi, quali l’etnologo Leo Frobenius (1873-1938) e il paletnologo italiano Paolo Graziosi (1906-1988), a suo tempo, avevano già avanzato l’ipotesi che il “cerchio raggiato” fosse la rappresentazione di una trappola.

La caccia alla giraffa dei Mundari
Come veniva utilizzata questa trappola?

Dal diario della missione – Marzo 1963, Alto Nilo Bianco (sud Sudan):  Alcuni pastori Mundari stanno scavando buche cilindriche lungo il perimetro di un bacino artificiale ottenuto trasportando l’acqua dal Nilo. Intorno al bacino e sopra le buche i cacciatori sistemano i “cerchi raggiati”. Dopo averli celati con paglia, li legano con una corda ad un masso.

Si tratta di trappole semplici ma efficaci. Consistono in cerchi di legno muniti di acuminate punte mobili convergenti verso il centro come i raggi di una ruota. Sistemate le trappole e mimetizzate con paglia, ai cacciatori non resta che attendere.

Una giraffa si avvicina, alza una zampa e la introduce inavvertitamente nel “cerchio raggiato”; il peso provoca il piegamento verso il basso delle punte mobili e la zampa sprofonda nel buco. L’animale cerca di sfilarla, ma le punte si chiudono intorno allo zoccolo come una morsa, impedendole di fuggire.

Accorrono gli uomini armati di lance e la abbattono.

Quel giorno fummo testimoni di una tecnica venatoria che, qualche decennio dopo, avremmo vista riprodotta sulle pareti del uadi Mathendush.

Il graffito dello struzzo in trappola
Dal diario della missione – 1983, Wadi Mathendush (Libia): Osserviamo con attenzione un graffito di struzzo, catturato in una trappola (rappresentata dal cerchio intorno all’animale), inciso su una parete di arenaria.

Contiamo le teste e i lunghi colli, sono sei. Quindi sono sei gli struzzi imprigionati. Osservando con più attenzione nasce però il dubbio che si tratti di un solo animale: se le teste e i colli sono sei, le zampe sono soltanto due.

Dunque un unico animale che il cacciatore preistorico avrebbe rappresentato con molteplici teste per evidenziare i rapidi movimenti dell’animale intrappolato alla ricerca di una via di scampo. Un comportamento che abbiamo visto in Cameroun. Uno struzzo prigioniero in un recinto cercava la zona di fuga fermo sulle zampe ma con la testa in continuo movimento.

Il pittore Giacomo Balla (1871-1958)
La scomposizione dell’immagine è sovente presente nei quadri di questo pittore futurista. Nel suo quadro “Dinamismo di un cane al guinzaglio”, sono rappresentate diverse immagini della coda e delle zampe di un cane.

Giacomo Balla diceva che “le cose in movimento si moltiplicano“.

Lo stesso “artificio artistico” è stato applicato anche da un cacciatore preistorico in un altro graffito del uadi Geddis. Si nota un’antilope, che sta per entrare in una trappola, rappresentata con le zampe anteriori “in movimento”

Presso il Museo Castiglioni, tra numerosi reperti etnologici ed archeologici, un’intera sala è dedicata agli straordinarti calchi dei graffiti preistorici del Bergiu, unici al mondo.

Tutte le immagini fotografiche, i disegni e i testi di questo articolo sono di proprietà esclusiva dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni. Qualsiasi riproduzione, anche se parziale, è vietata. Per ricevere autorizzazione all’utilizzo si prega di contattare il Museo Castiglioni.

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