La Terra di Amu.

Nella “lista delle miniere” che Ramses II (1279-1213 a.C.) fece incidere nel tempio di Luxor (Egitto) è indicata la terra di Amu. Una terra importante, ricca d’oro, che non è ancora stata localizzata.
Gli egizi classificavano le zone di maggior interesse e le identificavano con nomi differenti. Luoghi che, tuttavia, risultano difficilmente rintracciabili.

Un esempio è la “mappa di Seti I” conservata al Museo Egizio di Torino. Si è molto discusso sull’ubicazione della miniera rappresentata, ma finora non si conosce la sua sicura collocazione geografica.

L’iscrizione geroglifica
Una missione di Alfredo e Angelo Castiglioni, tra novembre 2007 e gennaio 2008, trovò su una parete di arenaria, a nord della terza cateratta sul Nilo, un’iscrizione in ieratico risalente probabilmente alla XVIII-XIX dinastia egizia (circa 1400-1200 anni a.C.), già notata, a suo tempo, dal prof. Jean Vercoutter.

Sulla base della documentazione fotografica realizzata, il prof. Alessandro Roccati fornì la seguente traduzione: “Al ka dello scriba di Amu, Userhat”.
La menzione di Amu era la prima, e finora unica, trovata graffita su roccia. Un graffito importante quindi, che ricorda una lontana terra misteriosa. Abbiamo sovente notato che le iscrizioni geroglifiche evidenziano i nomi e le mansioni di chi li ha tracciati, ma non esistono mai indicazioni precise che permettano la localizzazione delle destinazioni di questi viaggiatori.

L’ipotesi di percorso
Dal diario della missione:
Decidiamo di individuare questa mitica terra. Dall’osservazione delle foto satellitari e dallo studio dell’andamento degli uadi che penetrano nel deserto, riteniamo probabile che la terra di Amu sia da localizzarsi nella catena montuosa di Abu Siha, a 250-300 km dal Nilo: una successione di monti, orientati est-ovest, ricchi di quarzo aurifero e raggiungibili in 10-12 giorni di carovana“.

Il viaggio
Lasciamo la valle del Nilo il 10 novembre 2008.

Abbiamo tracciato sulla foto satellitare l’itinerario più breve e facile da percorrere che, seguendo gli uadi, conduce ai monti di Abu Siha.

Appena iniziato il viaggio, all’imbocco di un uadi che si dirige verso est-nordest, rileviamo un altro graffito.

E’ la “firma” dello scriba Paser figlio di Apii, della XIX dinastia.

A poca distanza da questa iscrizione, sul lato nord del uadi, notiamo una composizione di otto barche, forse risalenti al periodo predinastico, circa 3000 anni a.C..

Entriamo nel deserto seguendo le tracce di antiche carovaniere con direzione il gruppo montuoso di Abu Siha.

Gli alamat
Poco lontano svetta un “alama”, termine arabo per definire cumuli di pietre eretti per indicare la direzione.

Lungo il percorso troviamo altri “alamat” (plurale di alama), alcuni sulla cima di colli e visibili quindi anche da lontano. Le pietre con cui sono costruiti, annerite dall’affioramento di sali, evidenziano la loro antichità.

In zone pianeggianti e senza punti di riferimento, gli alamat si infittiscono per segnalare la giusta direzione. Sono tutti orientati est-nord est, verso i monti di Abu Siha.

La catena di Abu Siha
Dopo tre giorni di viaggio, raggiungiamo le montagne. Man mano che ci avviciniamo alla zona mineraria, le tracce di antiche carovaniere aumentano e si sovrappongono.

La miniera di Umm Fit Fit
Seguendole raggiungiamo la miniera di Umm Fit Fit (la “madre del fonio”) la più estesa della zona, situata nella parte occidentale del gruppo montagnoso.

Le abitazioni dei minatori sono piccoli recinti di pietre a secco a pianta circolare o rettangolare.

Numerose le macine “a sfregamento”, probabilmente risalenti al periodo faraonico Non esistono invece macine “a rotazione” introdotte in Nubia in epoca tolemaica e utilizzate anche in periodo islamico.

Poco lontano dal centro abitativo principale, troviamo la cava dalla quale venivano estratti i blocchi di granito per fabbricare le macine. Isolato sul pendio di una collina, notiamo il perimetro di una costruzione a pianta quadrata, più massiccia delle altre, con una sola apertura rivolta verso valle.

I muri sono costruiti con due file di pietre parallele. Tra esse, il pietrisco è stipato e compresso e rende solido il recinto. Forse un deposito per custodire la polvere aurifera.

Alcuni frammenti di un sacco e polvere di quarzo aurifero sparsi nell’interno, sembrano confermare l’ipotesi.

L’oro alluvionale
Una ventina di chilometri ad est dalla miniera di Umm Fit Fit, troviamo una vasta regione pianeggiante con estesi lavori di sterro per la ricerca di oro alluvionale. L’erosione eolica e fluviale, nel corso dei millenni, ha sgretolato le rocce precambriane che contenevano le vene di quarzo aurifero e l’oro, trasportato a valle, si accumulò sotto forma di scaglie o di pepite nella sabbia delle zone pedemontane.

L’importanza e la quantità dell’oro alluvionale sono state a lungo sottostimate. Nel corso dei millenni gli abitanti della valle del Nilo e del deserto sfruttarono, quasi esclusivamente, questa fonte dell’oro.

 

Altre miniere aurifere
Troviamo altre miniere proseguendo verso est: gli insediamenti di Rod el-Ushal, di Abu Siha, e di Nasib ben-Husan. Non troviamo macine per la polverizzazione del quarzo. Forse esaurite le vene, gli utensili di lavoro furono spostati da queste miniere in altri insediamenti, più ricchi di quarzo aurifero.
Numerose, infatti, sono le macine “a rotazione” nella miniera di Omar Khabash. Sono la testimonianza di un lungo sfruttamento minerario protrattosi per secoli, confermato anche da frammenti ceramici di età faraonica e di periodo medievale islamico.

Il ritorno
Dopo due mesi, ritorniamo al Nilo ripercorrendo lo stesso itinerario. La speranza è di avere trovato la terra di Amu. Le scoperte effettuate sembrerebbero avvalorare l’ipotesi.

Presso il Museo Castiglioni si trovano, tra numerosi reperti etnologici ed archeologici, alcuni strumenti litici utilizzati per la lavorazione del quarzo aurifero.

Tutte le immagini fotografiche, i disegni e i testi di questo articolo sono di proprietà esclusiva dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni. Qualsiasi riproduzione, anche se parziale, è vietata. Per ricevere autorizzazione all’utilizzo si prega di contattare il Museo Castiglioni.

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